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Le veneziane scompongono la luce che filtra dalla finestra, separandola in sottili e ordinate lamine d’oro.
Il muro contro il quale è appoggiato il mio letto è attraversato da parte a parte da una crepa apertasi anni prima e avanzata inesorabile come un deserto. Maz non è nel suo letto. Non so se si è di nuovo svegliato prestissimo o se ha trascorso tutta la notte al computer. Mi alzo e lo raggiungo in soggiorno. Mi saluta senza alzare gli occhi dallo schermo.
«C’è del caffè nella macchinetta»
Me ne verso un po’ in una tazzina. È davvero bravo a fare il caffè.
«Quando finirà ‘sto casino ti devo portare a prendere un caffè in un bar che conosco, lo gestisce uno che prima faceva le rapine. Fa il miglior caffè della città, giuro che prima o poi ti ci porto»
Lo sento sorridere senza voltarsi
«Inshallah.»
Maz è marocchino. Si chiama Mohammed Aziz, è nato a Marrakech ma cresciuto qui. Si trasferì con la famiglia quando aveva quattro anni. Il padre si spacca la schiena nella logistica, è uno dei più attivi nel sindacato. Da quando è iniziata la Pandemia lo hanno già denunciato diverse volte per i blocchi e gli scioperi.
Maz non parla molto. Men che meno in marocchino; la sola parola che ripete è «Inshallah». Lo dice quando vuole ardentemente qualcosa, quando la sua speranza si materializza e si fa tridimensionale. Quando i suoi sentimenti occupano la stanza al posto delle parole che lui non riesce a dire.
«Che si dice?» gli chiedo.
Allontana la sedia dalla scrivania, poi allunga un braccio e schiaccia Invio.
«Altri migliaia di morti. Molti medici e infermieri. Il nuovo Decreto stabilisce l’arrivo di forze speciali. In più dobbiamo tutti scaricare un’App sul telefono che informa in tempo reale il Governo dei nostri spostamenti. Se il telefono si attacca a una cella lontana dalla nostra residenza parte la segnalazione»
«Lasceremo il telefono a casa – butto lì per sembrare ottimista -. Gli altri?»
«Dormono credo»
Daria compare sulla porta ha già indosso la mimetica. Prende la maschera dal davanzale e resta un attimo a guardarla.
«Ho bisogno di uscire.»
«Ci sono in giro le forze speciali, più tutti i delatori»
«Lo so, ho sentito. Ma devo andare da Evelyn.»
Quando Daria decideva qualcosa era impossibile farle cambiare idea. Restammo così, a guardarci senza parole, senza trovare la forza per ostacolarla nè quella per salutarla.
«Torno presto», disse lei.
«Inshallah», rispose Aziz continuando a scrivere al computer.

Lo stato di crisi sanitaria in Italia a seguito dell’emergenza coronavirus è stato altamente condizionato dallo stato di salute in cui si trovava il SSN a seguito delle scelte politiche portate avanti dai vari governi negli ultimi vent’anni.
Due problemi fondamentali emersi dalla gestione ospedaliera del coronavirus sono stati:
– il sovraccarico delle strutture ospedaliere per insufficienza di posti letto in particolare nei reparti di terapia intensiva
– la mancata messa in sicurezza di operatori sanitari che hanno finito per contagiare altri pazienti e familiari.
Dalla crisi del 2008 è iniziato un periodo di contrazione fiscale che ha portato all’indebolimento del SSN ma che nonostante tagli e buchi è riuscito a rimanere in piedi finché si è trattato di gestire situazioni di normalità.

Di fronte all’emergenza sanitaria sono emersi però tutti i problemi legati allo smantellamento della sanità italiana, i tagli al personale, la chiusura dei reparti, l’inefficiente innovazione tecnologica delle strutture, l’evasione fiscale delle dirigenze ospedaliere. Il decreto ‘’Cura Italia’’ ha l’arroganza di mentire in questo, facendo credere che l’assunzione di 100 operatori medici e un prestito last minute (che non si aggira minimamente attorno alla somma che è stata espropriata alla sanità pubblica nell’ultimo decennio), possano bastare a reggere la pressione di questi giorni. L’ Oms aveva modellizzato la diffusione della patologia informando i vari stati per permettere l’organizzazione di una gestione più consapevole, immediata, preventiva dell’emergenza coronavirus.

L’italia ha la responsabilità politica di aver ignorato il problema fino a quando il virus si è esteso in maniera capillare nel nord, proprio dove paradossalmente sono localizzati i poli di eccellenza delle strutture sanitarie pubbliche nazionali.

Lo stato consapevole delle carenze sanitarie non si è posto il problema di tutelare la vita delle persone che attraversano la nazione fino a quando non è esplosa una pandemia. Sono state ignorate anche le direttive di contenimento dell’emergenza adottate in Cina, dove ben presto sono stati attuati tamponi a tappeto su tutta la popolazione che hanno permesso alla prima nazione colpita dal Coronavirus, di arrivare praticamente a 0 tamponi positivi al giorno.

L’altissima percentuale di decessi e di positivi per tampone indicherebbe che il livello di contagio sia molto più grande di quello che conosciamo, ma anche in questo caso, l’assenza di personale nei centri analisi e la mala gestione del problema da parte del governo, giocano il ruolo decisivo.

Se da un lato ora sentiamo la stessa politica che ha portato all’inefficienza della gestione del Covid-19 riempirsi la bocca di ringraziamenti al personale sanitario, sono anni che questi ultimi sono abbandonati ai pochi mezzi che hanno a disposizione. Non era d’altronde lo stesso Giorgietti a parlare di abolizione dei medici di base fino alla scorsa estate?

In Campania invece, stiamo assistendo alle derive autoritarie dello sceriffo De Luca, che mentre invoca Carabinieri a lanciafiamme, ignora che la sua regione sia l’ultima sul territorio nazionale nel rapporto popolazione-tamponi effettuati. Ma è molto più semplice, evidentemente, farci credere di essere in guerra visto che gli ultimi dieci anni di tagli alla sanità sono stati reinvestiti in difesa e armi, e che il problema debba essere gestito in ambito di controllo sociale e repressione anzi ché svelare che la fonte sia di ben altra entità.

Nel frattempo, Cuba invia aiuti medici in Venezuela e si prepara a supportare anche l’Italia, perché loro, da sempre lungimiranti più degli italiani sull’importanza di una sanità pubblica e gratuita funzionante, non comprano brevetti per un ipotetico vaccino, condannando il resto del mondo a morte, come invece fanno i nostri amici e alleati americani. Gli stessi americani che stiamo rifornendo di mascherine, proprio quelle mascherine di cui il personale medico italiano sta piangendo l’assenza dall’inizio dell’emergenza, gli stessi americani che sanzionano Teheran mentre è un po’ più occupata di loro a confrontarsi con la morte dei suoi fratelli e sorelle.

Ma torniamo un attimo all’Italia e confrontiamo un po’ di numeri emersi nell’indagine sul sistema sanitario. In questo momento le misure preventive messe in atto, in particolare nel sud Italia hanno un ruolo soprattutto nell’ evitare il totale collasso della sanità. Considerando che la maggior parte delle regioni del sud Italia sono sottoposte a piani di rientro.

Nel 2017 il 42% del totale delle risorse finanziarie per la sanità sono stati spesi nelle regioni del nord Italia, il 20% per il centro, il 23% sud e il 15% regioni con autonomia speciale. In questo ci aiuta alla comprensione osservare il dato della media nazionale dei posti letto disponibili nelle strutture sanitarie pubbliche che è di 2,5×1.000 abitanti, eccezione fatta per il Friuli in cui i posti sono 5×1.000 abitanti (l’unica regione che rispetta le normative Oms).

Nel sud Italia più del 50% delle famiglie ha rinunciato nell’ultimo anno a curarsi per i lunghi tempi di attesa o per i costi delle visite mediche, nel nord parliamo del 21% ma di certo non è un dato che ci rincuora. Per tutte queste ragioni emerse sono sempre di più le famiglie che negli ultimi anni si sono rivolte a cliniche private per il monitoraggio della propria salute nonostante il costo della prestazione sia maggiore rispetto al pubblico, questo avviene principalmente per colpa dei lunghi periodi di attesa ma anche dell’inefficienza e dell’estrema burocratizzazione del servizio erogato, che rende difficile l’accessibilità. Un elemento importante da sottolineare ulteriormente è sicuramente che pubblico e privato oltre ad avere organizzazioni e tempi differenti, si finanziano e rigenerano su presupposti lontani l’uno dall’altro: mentre le cliniche private guadagnano accredito e sovvenzioni dal numero di prestazioni e ricoveri, quello pubblico viene mantenuto sulla base del livello di prevenzione, ragion per cui il numero di reparti che chiudono specialmente nei piccoli centri, è molto alto.

Attualmente su una popolazione di 60 milioni di abitanti ci sono 5090 posti letto in terapia intensiva, quindi ogni milione di abitanti ci sono 84 posti letto. Una cifra in assoluto insufficiente ed evidentemente inidonea a gestire un’emergenza sanitaria. Ancora più allarmante se rapportata ad altri paesi (in Germania i posti in terapia intensiva sono 28000). Secondo l’Oms, in Italia si è passati da 922 posti letto per casi acuti nel 1980 a 275 del 2017.Gli stessi numeri poco rassicuranti si estendono anche nell’analizzare ciò che riguarda gli operatori delle strutture pubbliche, Secondo i dati Censis dal 2009 al 2017 il personale sanitario è stato dimezzato di 46mila unità (8mila medici e 13mila infermieri).

Secondo la federazione nazionale Ordine Professioni Infermieristiche nel 2023 avremo 58.000 infermieri in meno. Nel 2028 circa 71.000 meno. Nel 2025 si prevede una carenza di 16.500 medici. Ma in cosa sono stati investiti invece i più di 37miliardi di euro scomparsi dalle spese destinate all’apparato sanitario? Il 70% sono stati investiti per la difesa: con 14miliardi sono stati acquistati 90 cacciabombardieri f35, (per ognuno dei quali sono stati investiti 185milioni, lo stesso valore di costo di 5.000 impianti di ventilazione polmonare).

Quello che ci aspettiamo sicuramente da ora in poi è che la comunità scientifica si metta al servizio della salute pubblica affinché le ricerche possano condurre ad un avanzamento delle conoscenze sull’annientamento del virus, che i tamponi vengano fatti al maggior numero di persone possibili in modo da poter controllare e prevenire l’avanzare dei contagi, che gli ospedali privati vengano messi a disposizione di tutti e tutte e che vengano investite somme importanti nella ricerca medico-scientifica e nel rinnovamento delle strutture mediche e dei macchinari a disposizione.